Imago Ricerche di psicoanalisi applicata

Indice



Ospiti
Cesare Musatti, compagno di viaggio
Elvio Fachinelli, libero maestro
Freud al Bellevue
Da Buenos Aires a Collalbo
Collalbo a Buenos Aires
pag. 3
Divino e bello, Renon
Collalbo, luogo freudiano ritrovato
Anna, Adam e il gattino di pezza
Ferenczi e Rank a Collalbo
I gerani
I quaderni e la settimana freudiana
21
Totem e tabù
Il mito delle origini
Claude Lévi-Strauss
L'orrore dell'incesto
Il ritorno del  totemismo nei bambini
Prefazione alla traduzione ebraica
L'ebreo Sigmund
39
E quindi uscimmo a riveder le stelle
Da Vienna i vaggi
Winkelmann, Goethe, Freud
Freud von Köln, un antenato?
Al Garda, avventura sul lago
Il cavaliere, la fiat e la paura delle automobili
Da Carezza un inedito di Freud
55
Sogno di sogno
Gradiva, l' avanzante
Azzurra lontananza
Psicoanalisi opera aperta
Mosè, fantasma inquieto
Vienna, città di uomini postumi
69
Cent'anni di "psychanalyse" 81
Appendice  
Abbozzi per un ritratto 87
Cronologia breve: vita e viaggi (1856-1923) 91
Bibliografia sommaria 101

E quindi uscimmo a riveder le stelle

Da Vienna i viaggi *

La copertina<<Per me - confessa Freud all'amico Jung - l'estate è un problema insolubile>>. Il Sommerproblem è quindi una questione che richiede la massima serietà per il fondatore della psicoanalisi. Spesso Freud comincia a prendere accordi già all'inizio della primavera per trovare la località di villeggiatura più adatta, il villino più pittoresco delle Alpi.
A Vienna le intense giornate trascorrono tra l'attività di scrittura, le visite di amici e pazienti, il lavoro clinico nel silenzio magico dello studio di Berggasse 19.

Confessa scherzosamente all'amico C. G. Jung che lo aveva definito un "genio": <<I geni sono persone insopportabili. Basta che Lei chieda ai miei familiari quanto sia facile vivere con me, e si renderà subito conto che non posso essere certo un genio.>>

Freud trascorre la sue giornata tra il lavoro professionale, l'attività letteraria e qualche svago. Con i figli non passa che le ore dei pasti e la domenica; tutti, perciò, attendono con impazienza le lunghe vacanze estive, quale occasione felice per stare insieme.

Il suo sforzo di autocontrollo in funzione della concentrazione sul lavoro lo costringe a orari rigorosi: "vive in base all'orologio", riferisce il nipote Ernst. Anche le varianti che animano la sue vita quotidiana devono rientrare in questi orari: le partite a carte, le passeggiate in città; perciò, le stesse vacanze estive vengono accuratamente programmate e fissate con largo anticipo.

Approssimativamente la giornata di Freud procede così: si alza alle sette, e dalle otto a mezzogiorno riceve i pazienti in analisi. Il pranzo si svolge puntualmente all'una: l'intera famiglia si raccoglie sollecitamente nella sala da pranzo, con Freud e Martha seduti l'una di fronte all'altro, a capo del tavolo. Dopo aver mangiato, compie una passeggiata, a volte per consegnare le bozze o comperare i sigari; alle tre riprendono le sedute, che si succedono spesso fino alle nove di sera. La cena è accompagnata da una breve partita a carte con la cognata Minna o da una passeggiata con la moglie o una delle figlie, in un Cafè, a leggere le novità dei giornali. Il resto della serata viene dedicato alla lettura, allo studio, agli articoli su riviste. Passata la mezzanotte, regolarmente all'una del mattino Freud va a letto. Il sabato, invece, dopo aver tenuto le lezioni all'università, dalle cinque alle sette, si reca dall'amico Leopold Königstein per la settimanale partita a tarocchi. Ogni quindici giorni, il giovedì, partecipa alla loggia ebraica, il B'nai B'rith, dove di tanto in tanto legge qualche suo scritto.

A proposito delle passeggiate "ossessive" del padre intorno al Ring cittadino, riferisco qui un aneddoto di Martin: <<Capitava a volte che durante le nostre camminate, mio padre raccontasse una delle sue storielle preferite che, pur avendo ascoltato un'infinità di volte, finiva sempre per divertirci. C'è una parte di Vienna, e precisamente il Franz Josef Platz, che è bellamente merlata di comignoli e altre protuberanze ornamentali. Mio padre spiegava questa particolarità narrandoci la storia del "servizio da caffè della nonna del diavolo". Sembra che una notte la vecchiarda stesse volando sulla città con un enorme vassoio dove aveva disposto il suo miglior servizio da caffè: un gran numero di caffettiere, bricchi, tazze e piattini dal disegno diabolico. Accadde improvvisamente qualcosa (mio padre non mi precisò mai bene che cosa), forse un vuoto d'aria, e allora ...il gran vassoio si rovesciò, il servizio da caffè cadde sui tetti di Vienna e caffettiere, bricchi, tazze, piattini rimasero appiccicati come comignoli e orli bizzarri. La storiella divertiva, in verità, anche nostro padre, non meno di noi bambini.>>

Ma, torniamo al Sommerproblem. La famiglia (la moglie Martha, i figli Martin, Mathilde, Oliver, Ernst, Sophie, Anna e la cognata Minna Bernays), lascia Vienna in giugno, all'inizio del caldo, e si trasferisce in montagna, in una casetta precedentemente affittata; Freud di solito raggiunge i familiari a metà luglio e insieme trascorrono un mese o più. Il suo arrivo costituisce il momento più saliente della vacanza: cominciano infatti le escursioni, le arrampicate, la ricerca dei funghi, la raccolta di lamponi e fiori, né manca naturalmente il tempo per letture e nuovi studi, in solitudine. Il tutto, in un paesaggio alpino incontaminato e dolce.

Considera sacri questi mesi e respinge lucrose richieste di sedute durante le vacanze: ha un urgente bisogno di quiete e di riposo.

Freud non si dimostra affatto un cittadino mascherato da montanaro. E' un grande intenditore di scenari ch'egli guarda con occhio aperto alle grandi bellezze naturali; ben addentro radicato nella sua psiche agisce il bisogno irresistibile di essere in stretto contatto con la natura.

Scrive all'amico Oskar Pfister: <<In questo periodo dell'anno acquisto un'evidentissima somiglianza con Colombo. Come lui ho nostalgia della ...terra.>>

La montagna è parte integrante della sua Weltanschauung: pensa che la gioia del bel paesaggio sia indispensabile alla vita stessa dell'uomo. Annota, a 53 anni: <<Ieri, dopo aver trascinato le mie stanche ossa ancora una volta su per il pendio di una montagna - dove la natura con la regìa più semplice, con rocce bianche, prati di rododendri rossi, una macchia di neve, una cascata e in mezzo a tutto questo molto verde, produce un effetto così grandioso - ho stentato a riconoscere la mia persona.>>

Rivela Martin, a proposito della passione per i funghi: <<Sebbene tutta la famiglia fosse capace di usare trucchi e astuzie, era lui a scovare i funghi migliori. Quando gli accadeva di scoprire uno splendido esemplare, uno Steinpilz (fungo porcino), vi si precipitava appresso, gettava sopra il cappello e quindi lanciava un acuto segnale col fischietto d'argento ch'egli portava nel taschino del panciotto e con cui raggruppava intorno a sé il piccolo "plotone". Tutti noi accorrevamo a quel suono e, soltanto quando la nostra eccitazione era al massimo, mio padre toglieva il cappello permettendoci di controllare e ammirare il bottino.>>

Le escursioni vengono preparate e scelte con cura, ma ciò non basta ad escludere qualche ...incidente di percorso. Martin ne ricorda uno particolarissimo, accaduto durante le vacanze del 1906 all'hôtel du Lac: in un pomeriggio "torrido" d'agosto Freud e Martin lasciano Lavarone incamminandosi verso Caldonazzo, dove prendono il treno per Trento. Qui visitano la città e trascorrono la notte. Il silenzio non s'addice ai nottambuli trentini. Annota, tuttavia, Martin nel suo diario: <<Cos'è una notte insonne di fronte al piacere di fare un'escursione con papà, averlo tutto per me?>> Di buon mattino ripartono a piedi per Cadine e, dopo una breve sosta, proseguono verso Terlago, il laghetto, i pendii del monte Gazza. Il sole picchia impietoso. Martin precede il padre di una decina di metri e, ad un certo punto, non sentendo più i colpi del suo bastone contro le pietre, si gira ma Freud non c'è. Ritorna veloce sui propri passi e lo scorge <<appoggiato ad un masso, il volto purpureo, quasi violaceo. Mi chiede da bere.>> Martin estrae dallo zainetto una bottiglia di Chianti e il padre si disseta, ringraziandolo: <<Era riuscito a rimanere calmo, a mantenere il controllo dei suoi nervi, anche in questo frangente, non certo piacevole.>>

Freud adora la montagna, l'escursionismo, i viaggi per scoprire nuovi punti di vista, visitare musei, chiese, monumenti antichi. Proprio a questo registro dell'esperienza personale ricorre nell'attingere immagini per descrivere il processo della terapia analitica: il paziente, che secondo la regola fondamentale è invitato a dire tutto quello che gli passa per la mente, si comporta <<come un viaggiatore che, seduto vicino al finestrino del suo scompartimento, descriva a una persona seduta dietro di sè il paesaggio quale se lo vede passare davanti.>> E ancora: <<La prima fase dell'analisi comprende tutte le operazioni preliminari, oggi così complicate e difficile da portare a termine, che consentono finalmente di essere in possesso del biglietto, di percorrere la banchina e di impadronirsi del proprio posto nella carrozza. Ora si ha il diritto e la possibilità di viaggiare verso il paese lontano ma, nonostante tutti questi preparativi, ancora non lo si è raggiunto, e in fin dei conti non ci si è avvicinati alla meta di un solo chilometro. A questo scopo bisogna fare il viaggio stesso da una stazione all'altra e questa parte del viaggio può ben essere paragonata alla seconda fase dell'analisi.>>

D'abitudine, nell'ultima parte dell'estate, tra agosto e settembre, Freud lascia la famiglia in vacanza e insieme al fratello Alexander, alla cognata Minna o a qualche collega (Sandor Ferenczi, ad esempio), compie dei viaggi culturali, soprattutto in Italia.

La moglie Martha, presa dalle occupazioni di casa, difficilmente può allontanarsi per lunghi periodi e, del resto, non riuscirebbe a reggere il ritmo del marito nella sua inesauribile sete di vedere il mondo. Quando è lontano dalla moglie, colto dallo scrupolo che sia ingiusto godere di esperienze così piacevoli senza di lei, spedisce a Martha quasi giornalmente una cartolina o un telegramma, oltre a una lunga lettera ogni tre o quattro giorni; anche nel più sperduto villaggio alpino si assicura che le lettere vengano recapitate sollecitamente, e una delle prime occupazioni, appena arrivato, è quella di recarsi al locale ufficio postale e concordare i mezzi più idonei per un rapido disbrigo della corrispondenza.

La metafora del viaggio, di siti antichi e nuovi, la passione per la fantasia, il sogno, inducono Freud ad andare oltre la muraglia del Ring viennese, lo studio del romanzo individuale per indagare l'infanzia dei popoli, i primordi dell'umanità.

Winkelmann, Goethe, Freud
Tra i numerosi viaggiatori che oltrepassano le Alpi per scendere a godere delle bellezze italiane, non possiamo non ricordare Winkelmann, Goethe e... Freud. Il Bildungsreise, il viaggio di formazione, di nobili e ricchi dell'Europa del nord era stato istituzionalizzato nel Settecento e tinto di coloriture romantiche nell'Ottocento: per Byron e Shelley recarsi in Italia significava non solo scoprire le vestigia del passato, ma anche godere di climi miti e nature lussureggianti.

La frequentazione dell'Italia da parte di Winkelmann (1717-1768), costituisce una tappa fondamentale nella storia della cultura europea, poiché diviene il punto di riferimento per una svolta nella soggettività tedesca ed un modello intellettuale che influenza fortemente la formazione dello spirito europeo: benché amasse definirsi un prussiano diventato romano, tuttavia è stato l'inventore del tedesco in viaggio in Italia.

Goethe (imitato da Freud), intraprenderà la via dell'Italia in età già matura, colpito da una perturbante inibizione interiore, da un inconscio complesso paterno. Il viaggio in Italia è un'archetipo, un viaggio di formazione; l'Italia, gravida di storia e arte, rappresenta nel suo immaginario lo specchio puro del suo stesso mondo o, con un'espressione di Shelley, l'incanto del cuore: l'immersione nella classicità, l'amore per la natura e per il Sud, giardino in cui intingere una teoria dei colori e cercare l'Urpflanze, ombelico della natura. Il suo Viaggio in Italia rappresenta il canto del cigno della letteratura tedesca sull'argomento.

Il "polo solare" richiama anche un viaggiatore di eccezionale tempra, formidabile energia e inesausta curiosità: Freud. Per lui viaggiare rappresenta soprattutto la metafora dell'analisi, dell'esplorazione del proprio mondo interno e del superamento dei suoi confini, per cui nel viaggio luoghi attraversati corrispondono a tappe delle "località psichiche visitate", e partire è insieme viaggiare nello spazio e nel tempo. Ecco, quanto confida all'amico Wilhelm Fliess, dopo un complicato piano di possibili incontri a Carezza, Trafoi o <<dopo un viaggio di parecchie ore in carrozza>> nella <<afosa e poco piacevole>> Bolzano:

Aussee, 14 agosto 1897

<<Alcune cose stanno fermentando in me,
(...) ho poca voglia di pensare...
per questo ci vuole solo l'Italia.>>
Ma tanto fervore per i viaggi si scontra in Freud con la fobia della partenza. Quale ne è l'origine? Una spiegazione la incontriamo nella lettera all'amico Fliess, del

3 ottobre 1897

<<Caro Wilhelm...
da quattro giorni ho iniziato la mia autonanalisi...
Esporre per iscritto ciò che ho provato è per me molto difficile...
Posso soltanto dire che
(tra i due e i due anni e mezzo) si risvegliò in me
la libido verso matrem;
l'occasione deve essere stata un viaggio
che feci con lei da Lipsia a Vienna
durante il quale dormimmo assieme e
in cui ebbi certamente l'opportunità di vederla nudam.>>

L'impatto emotivo ad una tale scoperta è tale, che il giovane pioniere della psicoanalisi deve mitigarne l'effetto rendendola in latino, una lingua straniera, non Muttersprache o materna. La sessualità, quindi, interviene prepotentemente nell'angoscia del viaggio. Riprendiamo le parole di Freud, a Trieste, prima della partenza (fine agosto 1904) per Atene: <<Arriveremo a vedere Atene? Non è possibile, è troppo difficile.>>

Anche Edoardo Weiss ricorda la fobia delle partenze in Freud, con questo personale dettaglio: <<Temeva sempre di perdere il treno; quando doveva intraprendere un viaggio voleva sempre essere alla stazione molto tempo prima della partenza.>>

Tuttavia, benché soffrisse della fobia dei treni, il giovane fondatore della psicoanalisi inizierà ad attraversare l'Italia in lungo e in largo (come documentato nella Cronologia), a partire dal suo primo viaggio, nel 1876, a Trieste, fino a Roma "splendida, temuta, divina città", nel 1901 (meta anche del suo ultimo viaggio in Italia, nel 1923), alla felice vacanza di Collalbo, 1911 e oltre, instaurando con questa terra un legame d'amore e creatività.

A ragione ci si può chiedere con A. Novelletto: se Freud paragonando l'inconscio a ein anderer Schauplatz, un'altra scena, un territorio straniero interno, egli <<non fosse inconsciamente mosso dal ricordo di un territorio reale, l'Italia.>> Perciò, anche la citazione dantesca che Freud pone in una sua lettera a Martha, dopo aver visitato le catacombe romane, <<e quindi uscimmo a riveder le stelle>> risulta così comprensibile: dopo esser spinto nel <<mondo dietro il sole>> aver attraversato l'Acheronte della propria analisi, dell'indagine del mondo psichico profondo, può uscire alla luce della scoperta, nell'esplorazione della vita e dell'arte.

Echeggiano, qui, le parole di Rilke: "Il dio dei viaggi" è il dio del "lontano annuncio".

Freud von Köln, un antenato?
Vi è una curiosa annotazione nella Vita e opere di Freud di Ernst Jones, che getta un velo di mistero sulle origini di Freud. Leggiamo:

<<Nella sua breve Autobiografia Freud (1925) stesso scrisse: "ho ragione di credere che la famiglia di mio padre abbia risieduto per molto tempo nella regione del Reno, a Colonia." (...) Da giovane Freud si interessò della storia della sua famiglia, tuttavia ignoriamo quali prove egli avesse per affermare che avesse avuto origine nella regione del Reno e per fare il nome di Colonia. Le sue parole sembrano però curiosamente confermate dalla scoperta, avvenuta nel 1910 nella cattedrale di Bressanone, di un affresco firmato "Freud von Köln". Freud e il fratello andarono ad esaminarlo, ma non è stato possibile stabilire che il pittore fosse realmente un loro antenato e neppure che fosse ebreo.>>

Questa racconto molto stimolante, mi ha incuriosito e indotto a compiere accurate ricerche per rinvenire nella cattedrale di Bressanone il suddetto dipinto; ma, con mia grande delusione, non solo non ho trovato l'autore ma nemmeno l'opera di un simile illustre antenato "freudiano".

Tuttavia, passando di tanto in tanto tra quelle volte, non smetto di camminare con il naso all'insù, alla ricerca... dell'antenato perduto.

Al Garda, avventura sul lago
Nel suo Sigmund Freud man and father, il figlio di Freud, Martin <<evoca in tutta la sua freschezza - come ricorda Marie Bonaparte nell'introduzione - le impressioni infantili del ragazzo vivace sulla scia del grande padre, le loro vacanze in montagna, tra i profumi delle fragole selvatiche e dei grandi funghi porcini, che a suo padre piaceva scoprire sotto gli alti abeti dei boschi da lui amati.>>

La premessa di Martin recita, in parte: <<Avere un genio come padre non è esperienza così comune; perciò, quale figlio maggiore di Sigmund Freud, faccio parte di una minoranza, formo l'oggetto di una certa curiosità, ma non necessariamente di un grande favore da parte della società. (...)Personalmente, non mi lamento. Non ho mai nutrito l'ambizione di assurgere a celebrità, benché debba ammettere il piacere che ho provato nel gioire, di riflesso, della gloria. Tuttavia, credo che se il figlio di un padre grande e famoso vuole arrivare da qualche parte, deve seguire il consiglio che la [Regina rossa] Dama di cuori dà ad Alice: dovrà andare due volte più veloce se non vorrà rimanere ferma dov'è.>>

Dopo queste prime parole di amore e ammirazione per il padre, consegna alla memoria una serie di capitoli ora divertenti ora sommessi per narrarci la vita di Freud dal di dentro, dalle mura familiari, per documentare le splendide e avventurose giornate di vacanza trascorse insieme. Tra i curiosi aneddoti familiari incontriamo questo racconto (1906) ambientato sul lago di Garda, la <<soglia del paese del sole>>, come recita un verso di Rilke.

Si tratta di una gita iniziata felicemente e terminata burrascosamente. Scrive Martin:

<< Giovani e con limitata esperienza della vela, riuscimmo ad ottenere il permesso di nostra madre per veleggiare da Limone a Malcesine. Con mio fratello, Ernst, credendo di essere già dei provetti marinai, invitammo la piccola Anna ad imbarcarsi con noi su un battello a vela, forse anche per farle impressione con la nostra abilità di navigatori. Venne fiduciosa e, posso dire, ricorda l'incidente meglio di me. Il vento da sud si era rinforzato e l'onda stava progressivamente salendo, ma questo non significava niente per dei marinai come noi, almeno finché non ci accorgemmo che la nostra barchetta diventava man mano ingovernabile e andava dove voleva. Ci trovammo ben presto pericolosamente vicini alle rocce che attorniavano il lago. Ordinammo allora ad Anna di stendersi sul fondo della barca, evidentemente per salvarla dai colpi della barca, che ingovernabile oscillava da una parte all'altra. Anna obbedì volentieri, eccitata per l'avventura e per nulla spaventata dagli eventi. I nostri genitori ci avevano muniti di un regalo prezioso: riuscire a non farsi prendere dal panico. Le onde si alzavano sempre più e, fortunatamente, nostra madre avvertendo il pericolo si rivolse ad un barcaiolo in attracco sul lungolago. Salì a bordo e si diresse in nostro soccorso. Fatte scendere le vele, remavamo a tutta forza contro il vento e contro le onde, mentre nella barca l'acqua saliva.>>

L'avventura terminò felicemente e possiamo rallegrarci per il naufragio scampato, con gioia di... navigatori e spettatori. I genitori, infatti, non fecero dell'episodio una tragedia e i figli ripresero presto la via del... lago.

Il cavaliere, la fiat e la paura delle automobili
Tra le varie curiosità e particolari avvenimenti del soggiorno a Lavarone (1911), Martin narra un fatto curioso e divertente:

<<Benché fosse un pioniere nel suo campo, nostro padre non amava le nuove scoperte della tecnica; non certo per pregiudizio, ma per timore, diffidenza. Oltre al telefono, alla radio, alla macchina da scrivere, alla bicicletta, egli non vedeva di buon occhio l'automobile.

Tra gli ospiti all'hôtel du Lac vi erano dei signori di Padova, e il capo famiglia, dal titolo di cavaliere, spesso s'intratteneva con nostro padre, passeggiando, la sera, nel parco. I1 cavaliere possedeva una Fiat ed era molto soddisfatto quando riusciva a convincere nostro padre a salire con tutti noi sull'automobile per fare piccoli giri insieme.

Si trattava di un'auto decappottabile, che non proteggeva quindi i passeggeri dal vento e che raggiungeva i quaranta chilometri orari. Nostro padre ci aveva spiegato che si trattava della velocità massima che un organismo umano possa sopportare senza che i suoi organi vengano disintegrati; pertanto il mio occhio vigilava sul contachilometri.

Purtroppo nostro padre era in genere riluttante ad accettare favori e perciò il più delle volte le nostre gite continuavano a svolgersi a piedi, lungo strade polverose e sentieri impervi.>>

 Da Carezza un inedito di Freud
Lavorando da molti anni sull'opera di Rank e sulla storia della psicoanalisi, sono stato indotto ad approfondire i rapporti personali tra Freud e il suo allievo prima amato e poi ripudiato, Otto Rank. Dopo aver tradotto e curato gran parte degli scritti di quest'ultimo, sono pervenuto con qualche esitazione e curiosità al loro carteggio inedito, gelosamente custodito presso la biblioteca della Columbia University di New York.

Otto Rank, un giovane viennese di talento, appassionato di letteratura e filosofia, affascinato da L'interpretazione dei sogni, decide nel 1906 di incontrarsi con l'autore di tale capolavoro. Munito dell'opera prima, L'artista, si fa presentare a lui dall'amico Alfred Adler che, oltre ad essere il suo medico di famiglia, è uno dei primi frequentatori delle "serate psicologiche del mercoledì". Rank diviene subito il segretario fedele del nascente movimento psicoanalitico, l'amico preferito del Maestro e l'autore di numerosi scritti ora audaci ora divulgativi di clinica e psicoanalisi applicata.

La speciale relazione tra Rank e Freud si manifesta, particolarmente, in una quasi quotidiana frequentazione, in una familiarità che di anno in anno attirerà una crescente, edipica invidia tra gli amici, i seguaci del Professore, e che alimenterà tacitamente un'inestinguibile rivalità, dei cui nefasti effetti lo stesso Freud rimarrà in talune occasioni (caso Rank compreso) vittima eccellente.

La circostanza che vede maestro e discepolo entrambi viennesi, in ininterrotto rapporto di amicizia e di lavoro ha anche comportato, tra le varie conseguenze, che saltuarie fossero le occasioni di scambiarsi lettere o rara la necessità di ricorrere alla comunicazione epistolare. Questo spiega il numero relativamente esiguo di lettere (71) che rimangono a testimonianza di giorni e anni (1906-1925) intensamente spesi ad accrescere e consolidare un'amicizia strettissima, a fondare e diffondere la nuova scienza dell'inconscio.

Tra la corrispondenza, di notevole interesse e in gran parte tuttora inedita, ho scelto una missiva che ci riguarda da vicino: è stata, infatti, spedita dall'hôtel Latemar, lago di Carezza, il 22 agosto 1912. Leggiamo:

<< Caro dottor Rank,
[...] la cosa più deplorevole per quanto riguarda i cambiamenti in atto a Zurigo, è la certezza che verrà in tal modo a fallire l'unione tra ebrei e antisemiti, mentre io speravo di riunirli sul terreno comune della psicoanalisi.

Ecco perché mi sta a cuore la faccenda.

Il comportamento di Jung nei miei confronti (non certo la sua presa di posizione riguardo alla questione della libido), ha nociuto abbastanza alla nostra intimità, ma non deve sfociare in una scissione.
[...] Ad ogni modo, è tempo che noi restiamo ancor più uniti.
Lei stesso a Vienna cerchi di acquietare il più possibile ogni aspettativa di una possibile guerra intestina.
Che la cosa mi riguardi così da vicino, non posso negarlo:
c'est la vie.
Supereremo anche questa difficoltà, senza lasciarci fuorviare.
                                                                 Suo Freud>>

Come si è visto, Freud soggiorna non solo sulle rive del lago di Carezza: oltre a Venezia, Trieste, Milano, Roma, Napoli, Palermo, anche Bolzano, Collalbo, Lavarone, Castel Toblino, Ortisei, S. Martino di Castrozza, Merano, i laghi di Caldonazzo e Garda hanno rappresentato per i suoi viaggi mete desiderate e piacevoli. Infatti, le vacanze estive di Freud prendono spesso la via dell'Italia, per godere del mare e dei monti, dell'arte e della cultura, in compagnia della numerosa e vivace tribù.

Nel 1912, quindi, i coniugi Freud, dopo aver passato un mese a Karlsbad per le cure termali, si uniscono alla famiglia e il 14 agosto partono alla volta di Bolzano per trascorrere le rimanenti vacanze all'hôtel Latemar, presso il lago di Carezza. Sicuramente un viaggio ricco di fascino e meraviglia: la grande strada delle Dolomiti, che sin dall'Ottocento s'inerpica tra l'orrida val d'Ega, l'incantevole Latemar e l'imponente Sella, da Bolzano fino a Cortina d'Ampezzo, dischiude a 1500 metri d'altitudine un paesaggio ammirevole e magico: Carezza.

Il segreto del lago che si genera da sé, alimentandosi da fonti subacquee, balena inaspettatamente in rari crepuscoli creati dall'incanto di sguardi rapiti e dipinti da leggendari riflessi d'arcobaleno. Narra, infatti, un'antica saga che uno stregone, invaghito della bellissima Ondina, abitatrice del lago, non riuscendo a possederla escogita, su consiglio della strega Langverga, l'astuto espediente di stendere un superbo arcobaleno tra il Catinaccio e il Latemar ed esporre sulla riva del laghetto monili e preziosi di seducente luccichìo. L'Ondina, però lo riconosce e gli sfugge rituffandosi per sempre nel lago. Lo stregone, irato per lo scacco subito, prende l'arcobaleno e lo getta nel laghetto, che ancor oggi in particolari momenti riflette i più bei colori dell'iride: azzurro, indaco, verde, rosso e giallo-oro.

Questa cornice di delicati pensieri e meritato riposo, in cui le gite e il paesaggio disegnano atmosfere confidenziali, intessono giornate serene attraversate da pensieri e fantasie, non basta tuttavia a Freud per ovattare problemi e situazioni che lo preoccupano e assillano al punto da renderlo "depresso", come ricorda la figlia Anna e come si può intendere dalla stessa lettera nell'espressione "c'est la vie". Sin dai primi mesi di quel 1912 difficoltà di ogni sorta si erano addensate intorno a lui: l'annuncio dell'imminente matrimonio dell'amata figlia Sophie, le malattie della settantaseienne madre Amalia, della moglie Martha e del collega Ludwig Binswanger, la morfinomania della paziente (e compagna di Jones) Loe Kann.

In aggiunta alle traversie familiari, due allievi e collaboratori, Stekel e Jung, lo angustiano per le loro idee poco "ortodosse" che scuotono con forti tensioni il giovane movimento psicoanalitico. Anche la lettera d'agosto, sopra citata, riflette questo difficile, doloroso momento dell'uomo Freud. I contrasti teorici e personali tra la psicoanalisi viennese e la scuola zurighese (junghiana) stanno per sfociare in aperto dissenso e inevitabile distacco (1914); Carl Gustav Jung si appresta a partire per l'America, dove esporrà ampiamente le tesi del suo allontanamento dalla scuola freudiana; si presagisce, quindi, l'inevitabile scissione che metterà a scompiglio la fragile unione dei due indirizzi e in subbuglio la multiforme componente della neo società psicoanalitica internazionale.

A questo si deve il rammarico espresso nella nostra lettera circa l'impossibilità di tenere insieme sul "terreno comune della psicoanalisi" ebrei e gentili ("antisemiti"), viennesi e zurighesi, scuole e scoperte insomma scaturite dal medesimo ambito di ricerca, sebbene differenti per formazione e cultura. Jung, l'erede designato, il "gentile" che Freud immagina quale Giosuè che " prenderà possesso della terra promessa della psichiatria", è invece intento a smentire l'eziologia sessuale della nevrosi e postulare nuovi fondamenti per una sua "psicologia analitica".

Se l'aspirazione di Freud è di mantenere compatta la comunità di lavoro radunata intorno alla dottrina dell'inconscio, di smentire il pregiudizio che si era venuto a creare intorno alla psicoanalisi, e cioè l'identificazione delle sue scoperte con lo spirito ebraico quasi si trattasse di "un affare nazionale" (in ragione anche della massiccia presenza ebraica tra i suoi seguaci), la scelta di Jung (cristiano, figlio di un pastore protestante) e l'adozione della scuola psichiatrica zurighese rappresenta per Freud finalmente l'uscita dal ghetto viennese, storicamente determinato e culturalmente influenzato e la possibilità, come uomo di scienza formatosi alla severa dottrina del positivismo, di conquistare l'universale scientifico, consapevole che la scienza in quanto tale non può essere né "ebraica" né "antisemita" (né potrà, in epoche meno lontane ma più tragiche, definirsi "ariana").

E' tuttavia inevitabile che quando due geni si incontrano la loro unione sia foriera di profonde incomprensioni, diventi causa di scontro e venga, infine, travolta dall'irrinunciabile esigenza di una piena autonomia inventiva, dalla rivendicazione di una completa indipendenza creativa. I disegni di Freud s'infrangono, perciò, nel riconoscimento della reciproca libertà e genialità: il rapporto di amicizia e di studio tra Freud e Jung si dissolve in una dolorosa lontananza incolmabile, si sgretola in una voragine che presto li dividerà (1914) definitivamente, lasciando una ferita mai totalmente rimarginata. Infatti, dieci anni più tardi, nel 1924, quando sta per consumarsi un altro difficile distacco, questa volta con Rank, annota E. Jones, biografo di Freud: <<Temo che il Professore [...] non ce la faccia ad affrontare l'eventualità che ancora una volta si crei la stessa situazione vissuta con Jung.>>

Echeggia, però, illuminante a questo proposito la voce dello Zarathustra di Nietzsche: <<Povera ricompensa è per il maestro se l'allievo rimane solo allievo.>> Indubbiamente, Jung e Rank conoscono le parole del filosofo e le interpretano come anelito alla libertà creativa e invito all'autonomia individuale da un padre-Freud creatore e munifico sì, ma intimamente tiranno e geloso della conoscenza e degli affetti.

A questo, forse, alludono la leggenda dell'Ondina e il significato mitologico dell'arcobaleno o, almeno, così sembra a noi, grati al lago di Carezza e alla lettera ritrovata: rituffarsi nell'acqua simbolizza immergersi nell'oscurità dell'inconscio per cogliere in profondità i riflessi dell'animo, i colori della conoscenza e intraprendere un percorso inedito, singolare, al di là di certezze seducenti, nella selva oscillante dei conflitti psichici dell'uomo.

Note
* da: Marchioro, F. (1998), Divino e bello Renon.


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